di Paolo Allegrezza e Paolo Emilio Cretoni
Nell’attuale dibattito sulla scuola italiana pesa un gigantesco equivoco. Che la causa della sua crisi, contraddetta dai dati pluriennali sulla dispersione e dai Pisa – test, sia da addebitare alla riduzione dei finanziamenti. La scuola italiana è in crisi da decenni e fornisce un servizio largamente carente da molto tempo. Le rilevazioni sui livelli di apprendimento e l’inevitabile confronto con l’esterno prodotto dall’internazionalizzazione dell’economia, ci hanno costretto a farvi brutalmente i conti. Sgombriamo il campo dagli equivoci: al sistema italiano dell’istruzione non va più sottratto un euro. Ma non ne va dato neanche uno in più, fino a quando non sarà sottoposto ad una riforma ispirata a criteri di merito, verificabilità dei risultati, autonomia piena degli istituti. Di seguito alcune proposte.
1) Autonomia piena degli istituti sugli immobili e sulla loro gestione. Pensiamo solo ai risparmi che potrebbero derivare da una gestione efficiente dei consumi elettrici ed energetici, dalla possibilità di stipulare contratti per la pulizia e per la fornitura dei servizi amministrativi.
2) L’organo di amministrazione della scuola diviene un consiglio di gestione, in cui vi siano rappresentanze dei genitori, degli studenti, dei docenti, delle realtà economiche e sociali interessate.
3) Il controllo sull’utilizzo del budget di cui la scuola può disporre deve essere affidato in via preventiva ad una società di certificazione esterna o alla corte dei conti. I bilanci degli istituti devono essere consultabili on line.
4) Il consiglio di gestione, in base a parametri vincolanti (laurea conseguita in determinate facoltà, precedenti esperienze nel campo della formazione e manageriali, referenze, appartenenza ad un eventuale albo) individua il manager scolastico cui affidare il mandato sulla scorta di obiettivi individuati. Il mandato ha durata triennale e può essere rinnovato.
5) Il manager provvede alla scelta del direttore amministrativo, della dotazione e del personale amministrativo, previa approvazione del consiglio di gestione.
6) La scuola svolge una verifica obbligatoria annuale dei risultati di apprendimento, a cura di una società esterna, e li presenta in una conferenza dedicata alla riflessione sulle problematiche emerse e le eventuali strategie da adottare. I test di valutazione non potranno che essere quelli internazionalmente riconosciuti nel modello Pisa.
7) Abolizione del valore legale della laurea. È l’unico modo per far emergere le qualità e penalizzare le università scadenti. Secondo il criterio: chi comprerebbe una macchina che abbia dei difetti di fabbricazione? La mancata possibilità di accesso a concorsi pubblici da parte di chi proviene da università – esamifici potrebbe essere prodromico alla loro chiusura con conseguente risparmio di fondi pubblici. Aumento delle tasse universitarie in base al reddito famigliare per evitare l’attuale fenomeno dell’università dei ricchi pagata dai poveri (fiscalità generale). Da questa riforma anche le scuole potrebbero trarre benefici perché renderebbe conveniente l’impegno al miglioramento della propria offerta.
8) Abolizione dei concorsi pubblici per l’accesso alla docenza, al loro posto un albo degli abilitati cui gli istituti potranno attingere valutando i curricula e avvalersi della piena libertà contrattuale. Se una scuola vuole assumere un giovane e brillante laureato lo potrà fare, proponendogli uno stipendio adeguati
9) Dotazione di fondi statali non a pioggia, ma sulla scorta delle effettive esigenze degli istituti. Se si mira a diminuire il livello di dispersione a Scampia si deve poter contare su risorse diverse da quelle di una scuola del centro di Roma, sia in termini di strutture, sia di investimento sui docenti. Le scuole devono poter disporre anche della dotazione dei docenti: più le realtà sono difficili, maggiore deve essere il numero dei docenti disponibili. Come dimostra l’esperienza eccellente della scuola primaria, i risultati migliori vi sono laddove funzionano tempo pieno e modulo (fondato sulle compresenze).
10) Possibilità per le scuole di scegliere i curricula. Fatte salve le materie base, ciascuna scuola può decidere di inserire una materia o un’altra, aumentare o diminuirne il carico orario valutando le esigenze della propria utenza.
Ma è una provocazione o una proposta reale?
Sottoscrivo dalla prima all’ultima parola, e mi piace farlo nel giorno dello sciopero della Cgil contro la “privatizzazione della scuola pubblica”. E’ esattamente questo che pensavo quando, quasi trent’anni fa, fui il primo a proporre l’autonomia degli istituti scolastici. L’idea mi venne dopo che in Senato si era discusso a lungo e animatamente sull’ordine in cui elencare le materie comuni del liceo “unitario” nel quale avrebbero dovuto confluire tutti gli istituti della scuola secondaria. Alla fine si optò per l’ordine alfabetico, a testimonianza della difficoltà, per una democrazia, di avere le stesse certezze di Gentile. Anche grazie a quel mio intervento la riforma poi non si fece. Ma si chiacchierò a lungo di autonomia, che risultò gradita solo come orpello aggiuntivo alla rigidità del modello burocratico di gestione. Via libera, quindi, ai corsi di danza e di flauto dolce, ed anche a “sperimentazioni” per cui si poteva conseguire la maturità classica senza conoscere una riga di greco e di latino: a condizione che restassero intatte le norme sul reclutamento e quelle sul finanziamento. Mi rendo conto che questa mia reminiscenza non è un buon viatico per il decalogo di Allegrezza e Cretoni. Ma può darsi che trent’anni dopo, a prescindere dagli scioperi della Cgil, se ne possa riparlare, magari con qualche studente che indossa il casco solo per andare in motorino.
La proposta di riforma della scuola, articolata in dieci mosse, riguarda prevalentemente gli aspetti gestionali della scuola, ma la scuola non è un’azienda. La scuola italiana è in crisi da decenni, come rilevano gli Autori dell’articolo, e fornisce da tempo un servizio largamente carente, ma questo dipende da decenni di disattenzione della politica verso le problematiche dell’istruzione e dal fatto di non avere sfiorato, nelle riforme effettuate, il cuore del problema. E il cuore della scuola è fatto dai saperi, dalla loro trasmissione, dalle modalità di apprendimento e quindi dai docenti e dagli studenti, dai loro rapporti e dalle loro motivazioni, dalle condizioni in cui operano. Condivido della proposta di riforma solo alcuni punti. Innanzitutto la scuola ha un bisogno enorme di maggiori stanziamenti, a prescindere dalle eventuali future riforme, per sanare tutte le sue carenze, le sue fragilità ( fatiscenza delle strutture, carenza delle attrezzature e dei sussidi didattici, sovraffollamento delle aule, remunerazione degli insegnanti inferiore a quelle degli altri Paesi europei; solo per citarne qualcuna). Improponibile quindi che al sistema dell’istruzione non vada dato nell’immediato neanche un euro in più. Sulla gestione, sono condivisibili le proposte ai punti 1 (Autonomia degli istituti sugli immobili…) e 9 (Dotazione di fondi statali…sulla scorta delle effettive esigenze…). Non condivido il punto 4 (Nomina del manager…). Non può essere affidato a un consiglio di gestione la scelta del manager scolastico, perché potrebbe non averne le competenze necessarie per attuare tale scelta e perché questa procedura non è scevra di rischi di soprusi e prevaricazioni (esattamente quello che si vorrebbe evitare). Quanto all’abolizione dei concorsi pubblici (punto 8), rilevo che essi sono indetti per molte altre professioni ( quella del notaio, del magistrato…) e quindi c’è da chiedersi perché vadano aboliti per i docenti. I concorsi rappresentano comunque una occasione di stimolo allo studio e all’aggiornamento e il rimedio alle lunghe trafile del precariato. La mater
ia di cui tratta l’articolo 10 è, in forma diversa, già attuabile.
@Italia, certo che al cuore della scuola c’è la trasmissione dei saperi, per questo il modello cui ispirarsi sarebbe quello della primaria (tempo pieno e modulo). Tenere i ragazzi di più a scuola, variando le attività e con modalità alternative alla lezione frontale. Ma per farlo occorrono soldi che non ci sono, di qui il ricorso ad una gestione manageriale che riesca anche ad attirare finanziamenti non pubblici.
Quando diciamo non un euro in più alla scuola attuale, intendiamo niente soldi senza controllo e verifica dei risultati. Perché non possiamo più permetterci, in tutti i campi, di dare finanziamenti senza misurarne l’efficacia.
La scelta del manager la immaginiamo non al buio, ma dentro un sistema di garanzie. Potrebbe avvenire all’interno di un albo sulla base dei curricula, tenendo conto delle esigenze della scuola e dei suoi obiettivi.
A produrre il precariato sono stati i concorsi che hanno creato una massa di abilitati in eterna attesa del “posto”. Perché non pensare a contratti (biennali, triennali) a giovani docenti come preludio all’indeterminato? E liberalizzare il mercato dei docenti? E’ il sistema in uso nelle università americane.
Per approfondimenti, con i relativi dati, rimando alla sezione scuola di MATERIALI MAGAZINE http://materialiriformisti.blogspot.it/search/label/politica%20%2F%20scuola
Sono un professore di Matematica e Fisica, Informatica e Sistemi, Matematica applicata e Ricerca Operativa in pensione dal primo settembre 2011 ho insegnato negli istituti tecnici per trentasei anni effettivi e dopo aver letto e ascoltato per trentasei anni tutte le proposte di riforma come la soprascritta affermo che sono tutte “castronerie” adatte per un talk show televisivo. La scuola dell’obbligo deve essere costruita per i giovani li deve aiutare a crescere e a diventare dei Cittadini della Repubblica responsabili e intraprendenti “stay foolish stay hungry”. Oggi invece la scuola è un oratorio di salesiana memoria e il tanto decantato liceo è poco più della scuola media ante 1962. Come dovrebbe essere la scuola: 1) per prima cosa faccio l’elogio della disciplina perché i giovani devono imparare ad apprezzare le regole; 2) oggi non esitono più ostacoli esami, rimandi, voti con sei in sospeso tutto abolito; 3) i genitori i commercianti gli imprenditori devono stare fuori dalla scuola perché quando intervengono lo fanno per aiutare il figlio che è un nullafacente; 4) non abolire il valore legale del titolo perché in questo modo non si fa altro che perpetuare la medesima classe dirigente che si tramanda di padre in figlio; 5) legalizzare il titolo di studio attraverso esami selettivi seri e su programmi che diano anche accesso alle università. Licenziare i ventimila professori di religione che guadagnano più del professore di matematica ed eliminare le sovvenzioni alle scuole private perché l’art.33 della Costituzione afferma “…senza oneri per lo Stato…”. Ritengo, però, che tutto questo è un desiderio di un vecchio professore.