Romano Prodi, nel corso dell’esperienza dell’Ulivo, invocava un approccio empirico. Un esempio? In Italia la sanità funziona “a macchie di leopardo”. E dunque, suggeriva l’ex premier, perché non provare a trasferire le esperienze positive altrove, adattandole ai vari contesti? Egli, però, non era supportato da un partito. Ora Fabrizio Barca sostiene lo stesso metodo nella soluzione dei problemi; un metodo, però, fatto proprio e quasi incarnato dal soggetto politico a cui, confrontandosi con altri, vorrebbe dar vita. E qui assume contorni più chiari l’idea di una diffusa mobilitazione cognitiva. Ciascun militante della nuova forza dovrà contribuire con la propria esperienza e intelligenza a offrire agli altri indicazioni e suggerimenti, senza ricette già pronte e senza leader già dati in cerca di una collocazione. Da qui il senso del “partito palestra” (e non pedagogico) e dei “lunghi cammini” da condividere, nel quadro di un “conflitto ragionevole delle idee”.
In modo, ad esempio, che né il ministro né il sindaco della metropoli o di un paesino siano soli. Ed ecco anche il senso della parola territorio. Ma come conciliare tale attivo e diffuso coinvolgimento col peso dei leader che esprimono al vertice quei ragionevoli conflitti? E come evitare davvero di cadere nella retorica del “territorio” in un’epoca nella quale “il locale” è così fittamente intrecciato con “il globale”?
È vero: negli ultimi decenni sia le istanze neoliberiste sia quelle socialdemocratiche si sono in gran parte espresse in maniera tecnocratica. Tecnocrati di destra e di sinistra hanno contribuito a un grave deficit democratico, che non può essere certo colmato dalle suggestioni della “partecipazione digitale” e delle “folle virtuali”. Come superare ciò, però? Come attivare una “procedura deliberativa aperta” superando le resistenze al cambiamento, diffuse a tutti i livelli, specie in un Paese dai forti tratti corporativi come il nostro?
Il partito come luogo della memoria, certo: di quella operativa e di quella “sentimentale”. Tuttavia come conciliare tale proposito con i ritmi travolgenti di oggi e con il disincanto diffuso? Si può, nel contempo, “correre” e “camminare”?
Barca, comunque, dichiara di non cercare adesioni, bensì un confronto autentico. Il suo non è un progetto compiuto, né si tratta di una semplice provocazione. È la manifestazione della volontà di riprendere un discorso che coinvolga, in vista di una co-costruzione.
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