Forse la risposta alle polemiche in seno all’Internazionale Socialista tra i suoi vertici, il presidente George Papandreou e il segretario generale Luis Ayala, e il leader della Socialdemocrazia tedesca Sigmar Gabriel, si può trovare nel rilancio dell’idea del Lib-Lab fatta da Riccardo Nencini.
Come è noto la Spd, da tempo in polemica con la leadership dell’Internazionale, ha rilanciato una proposta, che in verità fu di Bettino Craxi all’inizio degli anni ’90, di aprire l’organizzazione a partiti e movimenti di sinistra non socialisti di stampo progressista, trasformandola in una Progressive Alliance. L’idea dei socialdemocratici tedeschi, divenuta iniziativa politica concreta in occasioni dei festeggiamenti dei 150 anni della Spd a Lipsia, ha avuto l’immediato appoggio del Pd in Italia, che così potrebbe approdare ad un’organizzazione internazionale con partiti di ceppo socialista, senza doversi dichiarare socialista.
Ma la proposta di Craxi a suo tempo, non era rivolta a cancellare l’identità socialista dell’Internazionale, ma al contrario a consentire a forze politiche di sinistra democratica di vari paesi del mondo di partecipare al dibattito per attualizzare e rilanciare il pensiero e l’azione del socialismo ai tempi della globalizzazione.
Il rapporto dialettico tra socialismo e liberalismo affonda le proprie radici nell’elaborazione del revisionista marxista tedesco Eduard Bernstein, che definì alla fine dell’800 il socialismo come “liberalismo organizzatore”. Nel suo I presupposti del socialismo ed i compiti della socialdemocrazia del 1899, Bernstein scrisse ciò che poi costituì la base teorica per la svolta di Bad Godesberg del 1959 della Spd: “La democrazia è al tempo stesso mezzo e scopo. E’ il mezzo per la lotta per il socialismo, ed è la forma della realizzazione del socialismo”. Del rapporto tra socialismo e liberalismo democratico si trovano realizzazioni concrete anche in Inghilterra, che già nella seconda metà dell’800, con John Stuart Mill, l’economista sansimoniano che animò il movimento fabiano, affronterà il problema “di combinare la massima libertà di azione individuale con la proprietà comune delle materie prime nella terra e con un’uguale partecipazione di tutti ai benefici collettivi”. In Gran Bretagna fu per impulso di un liberale illuminato come Lord Beveridge e delle teorie di un economista liberale come John Maynard Keynes che si realizzò per mano laburista, dopo la fine della seconda guerra mondiale, un innovativo piano di riforme sociali che hanno creato il moderno Welfare State. E proprio le teorie di Keynes hanno rappresentato lo strumento per l’affermazione del modello socialdemocratico europeo, attraverso l’ampliamento del mercato interno e la redistribuzione del reddito a fini di equità per mezzo della leva fiscale: direttamente sostenendo con l’aumento dei salari e delle pensioni la domanda, e indirettamente con avanzati sistemi di sicurezza sociale, mentre il movimento operaio organizzato sindacalmente veniva inserito nelle scelte di politica economica e in quelle delle aziende.
Anche in Italia si è sviluppato nel ‘900 un intenso dibattito teorico rivolto a creare una sintesi tra socialismo e liberalismo. Dal liberalismo “rivoluzionario” di Piero Gobetti al socialismo liberale di Carlo Rosselli e al liberalsocialismo dei filosofi della Normale di Pisa Guido Calogero e Aldo Capitini; nel frattempo, tra il 1942 e il 1947, ha avuto luogo la straordinaria quanto breve esperienza del partito d’azione, con l’incontro-scontro tra l’anima socialista di Riccardo Lombardi, De Martino, Foa, Lussu, Valiani, Garosci e quella democratico-riformatrice di Ugo La Malfa, Ernesto Rossi e Ferruccio Parri; la stessa elaborazione di Giuseppe Saragat, formalmente ancorata alla tradizione dell’austromarxismo, può essere ascritta (si pensi al suo L’Humanisme marxiste del 1936) alla elaborazione di un socialismo liberale. E ancora si deve ricordare l’opera intellettuale di Norberto Bobbio, quale massimo tentativo teorico di realizzare l’incontro tra democrazia rappresentativa e socialismo, tra giustizia e libertà (si veda Quale socialismo del 1976), mentre in campo sindacale è stata la Uil a costituire il terreno concreto di incontro tra socialismo e liberaldemocrazia.
Craxi con il nuovo “corso socialista”, che avrà al centro la proposta di alleanza tra “meriti e bisogni” di Claudio Martelli, rilancerà tra il 1976 e il 1990 la proposta “Lib-Lab”, anche con un fecondo dibattito tra esponenti e intellettuali socialisti e liberali, raccolti in un libro del 1980 curato da Enzo Bettiza e Ugo Intini dall’omonimo titolo.
L’incontro tra socialismo e liberalismo deve essere inteso non come un corpus dottrinario, ma un metodo politico della sinistra riformista per tenere in equilibrio capitalismo e diritti sociali, Stato e mercato: a differenza quindi delle filosofie della storia che hanno segnato il percorso di settori significativi della sinistra, oggi transitati sic et simpliciter, dopo il crollo del Muro di Berlino, dal collettivismo alla esaltazione spesso acritica della globalizzazione finanziaria. Anche se, oltre agli ex-comunisti italiani, in questa posizione vanno ricordati il laburista inglese Tony Blair e il socialdemocratico tedesco Gerard Schroder, che con Prodi e Clinton (il presidente americano che consentì di porre fine alla distinzione tra banche d’affari e di risparmio, creando così le premesse per la odierna crisi della finanza a livello planetario) volevano creare, sull’onda della cosiddetta “Terza via”, una sorta di “Ulivo mondiale”.
Sono ancora attuali le parole di Carlo Rosselli per una sintesi politica e culturale tra socialismo e liberalismo, e per evitare una esiziale contrapposizione tra l’Internazionale socialista e l’iniziativa della Spd per una Progressive Alliance: “Il socialismo non è che lo sviluppo logico, sino alle sue estreme conseguenze, del principio di libertà”. Ai giorni nostri libertà dal dominio della finanza globale, dalle multinazionali che delocalizzano e praticano il dumping sociale, dagli organismi tecnocratici sovranazionali che hanno leso la sovranità democratica degli Stati, dalle politiche di austerity che hanno impoverito i cittadini, concentrando ulteriormente la ricchezza in poche mani.
Il socialismo liberale, con l’incontro tra partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti con quelli democratici e riformisti in una Internazionale rinnovata, può evitare che a Lipsia, con la nascita dell’Alleanza Progressista, si verifichi una divisione esiziale per il socialismo nell’era globale.
Il socialismo progressista nelle accezioni liberale e riformista rappresenta il punto di partenza della governabilità progressista futura in europa. L’italia darà il suo contributo progettuale.
Ma perché questa smania di confondere liberalismo e socialismo? Quest´ultimo non é altro che la democrazia portata al massimo sviluppo, é la “socializzazione del potere” e contiene in sé tutte le libertá, particolarmente quella dal bisogno, senza bisogno di ricorrere al liberalismo. Berstein fu combattuto da Kautshy, Bissolati fu espulso col consenso anche di Turati, in esilio ci fu una polemica teorica fra Rosselli e Saragat.
Bisogna uscire da una visione eurocentrica. In sudamerica, ad esempio, ci sono esperimenti socialisti democratici, lontani dalla visione lib-lab