Per tre anni, i leader dell’Europa occidentale hanno inanellato una serie di errori politici e strategici, contribuendo al protrarsi del conflitto e delle sofferenze del popolo ucraino. L’invasione russa su larga scala è stata resa possibile dal fallimento della deterrenza occidentale, a sua volta conseguenza di una lunga catena di accomodamenti che, a partire dal 1999, hanno alimentato l’aggressività di Mosca. I successi russi nell’Ucraina sud-orientale, seppur limitati e ottenuti a un costo insostenibile, sono anch’essi frutto dell’indecisione, dell’ambiguità e della timidezza con cui l’Occidente, e in particolare l’Europa, ha gestito il sostegno alla resistenza ucraina. Osservare oggi i leader europei confrontarsi con l’improvviso (ma non imprevedibile) cambio di rotta della politica americana, e affrettarsi a costruire una difesa comune adeguata alla minaccia, sarebbe uno spettacolo gratificante, se il prezzo dei loro errori e della loro miopia non ricadesse interamente sui cittadini europei.

Gli errori commessi, dalla ridicola diplomazia delle telefonate fuori tempo massimo alle lentezze, alle indecisioni e alle contraddizioni nella fornitura di risorse all’Ucraina, sono tutti riconducibili a un atteggiamento generale di “underreacting”.

In buona fede o con ipocrisia, i leader europei hanno frainteso, o hanno finto di fraintendere, la vera natura dell’aggressione all’Ucraina, scambiando un’azione volta a distruggere l’indipendenza dello Stato ucraino e a cancellarne l’identità nazionale, con una disputa territoriale su confini e risorse. In buona fede o con ipocrisia, hanno frainteso, o hanno finto di fraintendere, la vera natura del regime russo, scambiando una banda di mafiosi al comando di un paese premoderno, intossicato da secoli di nazionalismo tribale, per un governo legittimo integrabile nella comunità internazionale. In buona fede o con ipocrisia, hanno frainteso, o hanno finto di fraintendere, la vera natura dell’imperialismo russo, scambiando il meccanismo con cui da cinque secoli le autocrazie russe mantengono in vita una società insostenibile e si rinsaldano al potere, con la “legittima” aspirazione a un’egemonia regionale. In buona fede o con ipocrisia, hanno sottovalutato, o hanno finto di sottovalutare, la pervasività della propaganda russa nelle società europee, la manipolazione dell’opinione pubblica occidentale e la presenza di agenti, consapevoli o meno, in tutti gli ambiti in cui si forma la psicologia delle masse occidentali e si sviluppa il processo decisionale delle nostre democrazie.

Il risultato di questi fraintendimenti e sottovalutazioni è stato il costante aumento dell’aggressività russa e della minaccia che essa rappresenta per l’intera Europa continentale.

Ma tutto ciò appartiene ormai già al passato. Siamo entrati in una nuova fase, nella quale ciò che più influenzerà le nostre prospettive è il cambio di rotta che l’America di Trump sembra intenzionata a compiere, abbandonando il campo delle democrazie occidentali per quello delle autocrazie imperialiste. Pertanto, data per acquisita la lezione sulle catastrofi causate dall’ underreaction alle aggressioni, è tempo di riflettere sui pericoli di un’eventuale overreaction al fenomeno Trump.

Ritengo che la mancanza di una vera cultura strategica in Europa, un limite culturale vero e proprio, sia alla base della cecità dei leader europei rispetto agli effetti paradossali, ma comuni, delle interazioni strategiche. Questo stesso limite culturale pare caratterizzare anche le reazioni della politica europea a Trump in queste settimane.

Prima di rispondere in modo simmetrico all’aggressività verbale e ai dazi di Trump, sarebbe invece necessario tenere bene a mente alcune cose.

Innanzitutto, se è certamente lecito reagire alle azioni di Trump, non è affatto saggio reagire alle sue parole. Come ogni aspirante autocrate insofferente ai limiti della democrazia, Trump si rivolge sempre e solo alla sua base sociale. Reduce da 14 anni da star di un reality show, è convinto che per attirare e mantenere l’attenzione del pubblico sia necessario creare e alimentare conflitti artificiali. La sua politica è il “governing by headlines”: pertanto rispondere impulsivamente a ogni provocazione è il modo migliore per assecondare il suo progetto.

Le decisioni di Trump sono guidate quasi esclusivamente dalle sue ossessioni, al momento senza freni a causa della corte di “yesman” incompetenti che lo circonda.

Chi lo conosce da vicino conferma che la sua ossessione è vincere il Nobel per la pace, non tanto per il premio in sé, quanto perché ritiene insopportabile che esso sia stato assegnato a Obama. Per questo, vuole un risultato rapido in Ucraina, un risultato qualsiasi da sbandierare davanti alla sua base elettorale. Questo è l’unico criterio con cui si possono utilmente interpretare le sue decisioni in materia. Ogni speculazione su una sua presunta “cattura” da parte del regime di Putin è fuorviante, perché, oltre a essere un’ipotesi inutile, sottovaluta la sua autonoma pericolosità e alimenta il mito propagandistico dell’onnipotenza russa.

Trump ha una propria agenda imperialista, in cui lo scontro con la Cina è fondamentale, il controllo dell’Artico è necessario e lo scontro con la Russia è solo una perdita di tempo e risorse. Privo di principi e valori, è del tutto disinteressato al destino dell’Ucraina e dell’Europa continentale, con cui ritiene di avere anche dei conti personali in sospeso. La guerra in Ucraina gli è utile solo se può ottenere un risultato rapido da mostrare all’opinione pubblica americana, che sia un cessate il fuoco o un accordo predatorio sulle risorse minerarie. Per questo, in ogni scenario possibile, egli cercherà di trarne un qualche vantaggio di immagine e ne scaricherà il peso materiale interamente sulle spalle degli europei.

Invece di sprecare tempo ed energie a interpretare e inseguire i pensieri di Trump, l’Europa deve prepararsi ad accollarsi questo peso, rafforzando se stessa e mantenendo il sangue freddo.

La seconda cosa che bisogna tenere bene a mente è che Trump non è l’America, non rappresenta la maggioranza del popolo americano e i suoi interessi personali, che dettano per intero la sua agenda, non coincidono con quelli della nazione. Questa contraddizione si acuirà rapidamente. Trump è un’aberrazione temporanea del sistema: meno si asseconderà il suo gioco – che è quello di allontanare l’Europa e la sua opinione pubblica dal rapporto tradizionale con gli USA – più facile sarà recuperare i danni che egli avrà causato, una volta che il sistema lo avrà rimosso.

Pertanto, è fondamentale innanzitutto evitare dichiarazioni o azioni che possano giustificare il ritiro degli Stati Uniti dalla NATO, il danno più grave e difficilmente riparabile.

La società americana d’altronde è già in rivolta contro Trump. La vittoria dei democratici con un margine enorme al Senato della Pennsylvania, in una contea nella quale l’asinello non vinceva dal 1889, e l’elezione di Susan Crawford alla Corte Suprema del Wisconsin, nonostante i milioni e l’impegno personale investiti da Musk, sono segnali significativi. Ci sono manifestazioni e azioni politiche quotidiane contro la deriva autoritaria del trumpismo. Il popolo americano merita il sostegno e la solidarietà dell’Europa in questa sua dinamica politica. Nella peggiore delle ipotesi, Trump sarà un’aberrazione di quattro anni. L’obiettivo europeo deve essere minimizzare i danni alle relazioni atlantiche e agevolare il recupero della solidarietà reciproca.

La terza cosa da tenere a mente, specie da parte di chi intende promuovere un’agenda alternativa a quella di Trump, è che molte delle questioni da lui sollevate, seppur in modo esasperato e strumentale, sono reali e vanno affrontate con serietà.

In attesa che Trump compia un atto impeachable, o che i suoi consensi crollino, o che il suo declino cognitivo lo renda inabile, la sinistra americana dovrebbe riflettere sui propri fallimenti e sulle ansie reali della società: il deficit americano è davvero fuori controllo, la gestione dei flussi migratori è davvero critica, la desertificazione industriale è un problema reale e gli eccessi del “wokeism” hanno spaventato davvero le masse popolari.

Parimenti anche l’Europa dovrebbe meditare sui propri fallimenti e sulle origini del successo trumpiano e di quello dell’estrema destra continentale. Gli squilibri commerciali con gli USA sono reali, le accuse ai paesi europei di aver fatto i free-rider della sicurezza per 70 anni e di essere stati inadempienti verso la NATO sono assolutamente fondate. Sono dati di fatto reali che devono essere considerati con serietà ed errori a cui si deve porre rimedio.

Anche le ansie su cui fa leva la destra sono reali e assai diffuse tra i ceti popolari: ignorarle significa regalare il consenso delle masse popolari ai demagoghi finanziati dai russi. E questo, come dovrebbe ormai essere chiaro, non sarebbe più solo un errore politico, ma sarebbe un errore potenzialmente fatale per la stessa sicurezza delle nazioni europee.